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La sicurezza, da oggetto di tutela marginale e scopo generale dell'universo punitivo, è diventata, nel postmoderno, volano dell'anticipazione della punibilità e nucleo costitutivo di un sistema penale autonomo, dotato di regole proprie ed in parte asimmetrico rispetto allo ius puniendi tradizionale, sia per i caratteri dell'illiceità espressa, che per gli scopi politico criminali perseguiti. L'illiceità securitaria si parametra infatti sull'allarme sociale, piuttosto che sul pericolo effettivo; sulla euristica della paura più che su dati empirico-fattuali; sulle componenti irrazionali del bisogno di pena, piuttosto che sulla proporzionalità e ragionevolezza della risposta sanzionatoria. Il paradigma securitario contemporaneo rielabora in tal senso l'offesa di pericolo, destruttura e duplica preesistenti tipicità di danno, trasforma emergenze sociali ed umanitarie in emergenze criminali, introduce modelli di differenziazione punitiva che alterano i precedenti equilibri sanzionatori, mette in discussione la secolarizzazione penale e le stesse finalità della pena moderna. Il passaggio dalla sicurezza penale al penale della sicurezza fa registrare d'altra parte, la torsione in senso punitivo della sicurezza dei diritti e la traslazione della garanzia di sicurezza, tradizionalmente assolta dallo Stato nei confronti della cittadinanza, in una funzione securitaria della pena, che limita le libertà dei consociati e polverizza il principio di necessaria materialità del reato. Sotto l'influsso del populismo contemporaneo, il penale della sicurezza transita così nel penale della paura, dell'odio e dell'intolleranza sociale, rivitalizzando un penale etico che assembla strutture e teleologismi punitivi ispirati al passato remoto più che al passato prossimo, andando a criminalizzare persone, piuttosto che fatti ed a tutelare sensazioni e/o valori più che beni e/o diritti secolarizzati.